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SOS DISGRAFIA -- I nostri percorsi di rieducazione alla scrittura 

CAUSE DELLA DISGRAFIA

 La disgrafia rientra nei DSA, può essere associata agli altri disturbi specifici come no. 

La disgrafia può dipendere dalla dislessia come anche da una scarsa coordinazione oculo-manuale; uno sviluppo incompleto della lateralizzazione e dal mancinismo.

COME RICONOSCERLA? 

La disgrafia è facilmente riconoscibile, soprattutto quando il bambino fa il passaggio al corsivo e la scrittura è: 

• eccessivamente lenta o eccessivamente veloce

• orientata ed organizzata maldestramente nello spazio

• "affaticata" (la mano e il braccio si stancano)

• illeggibile

• disordinata e imprecisa

•     irregolare in pressione, direzione e dimensione

• a scatti, incerta e non fluida

• non è conforme con l’età anagrafica

Nella maggior parte dei casi la disgrafia è accompagnata da un’impugnatura e una postura scorrette.

COME AIUTARE IL BAMBINO DISGRAFICO?

--A SCUOLA

Già dalla scuola dell'infanzia occorre porre moltissima attenzione allo sviluppo della motricità fine con appositi esercizi legati alla manualità (impastare, manipolare il pongo.., infilare pasta e perline in un filo; ) dando molto spazio al pregrafismo.

Bisogna insegnare la postura corretta durante le attività grafiche e la giusta impugnatura della matita. Per insegnare come si tiene in mano una matita esistono diversi esercizi

La scuola primaria deve porre moltissima attenzione alla postura e alla corretta prensione della matita/penna e correggere eventuali errori. Gli errori di impugnatura andrebbero corretti il prima possibile, non più tardi della prima elementare.

Non bisogna assolutamente presentare il carattere ollografico corsivo da subito ma dare ampio spazio allo stampatello partendo dalle lettere che hanno tratti simili e semplici. 

Le righe migliori per un bambino disgrafico sono quelle che delimitano esattamente lo spazio, quindi le classiche righe per la 1a e la 3a elementare. 

Più difficile uso sono quelle di 5a, che personalmente consiglio solo quando il bambino è pronto, in quanto essendo tutte uguale non danno un riferimento preciso a livello di organizzazione spaziale. E' essenziale che i quaderni abbiano i margini e che il destro venga evidenziato dal sinistro con un colore diverso, questo aiuta molto l'orientamento nella scrittura.

Per la matematica si può cominciare usando quadrettoni da 1 cm, per passare poi a quelli più piccoli.

Di fronte a una disgrafia grave è possibile utilizzare il pc, personalmente sono dell'idea che il pc debba essere usato come strumento dispensativo laddove è necessario avere un elaborato chiaro e leggibile (ad esempio in una prova d'esame) altrimenti sono del parere che al bambino debbano essere dati degli strumenti "comuni" in quanto lo scrivere fa parte del nostro quotidiano e non sempre si ha a disposizione un computer. Certe pratiche non devono essere perse o abbandonate, semplicemente vanno trovate delle soluzioni congeniali alla propria peculiarità, che comportano un minore dispendio di energia e una minore ansia.

--CREARE UNA SITUAZIONE FAVOREVOLE

IL BAMBINO disgrafico sa di non riuscire a scrivere bene, sa paragonarsi ai compagni e spesso l'insuccesso mina l’autostima, rendendo la scrittura una situazione di forte stress emotivo. La scrittura peggiora quando il bambino vuole finire in fretta per togliersi da quella situazione di stress. 

Occorre quindi creare intorno al bambino un clima rassicurante in cui scrivere con calma; in cui l’esercizio della scrittura sia  divertente come un gioco. 

In quanto alla valutazione, con i bambini disgrafici bisogna portare l’attenzione sul contenuto e non valutare la grafia. 

Consiglio di non abbassare MAI il voto perché il bambino non ha una bella grafia, ma di ALZARLO sempre se il contenuto è originale !!!! 



--I NOSTRI PERCORSI DI RIEDUCAZIONE ALLA SCRITTURA  


presso lo Studio Pedaogico offriamo percorsi di rieducazione alla scrittura in un ambiente sereno e rassicurante in cui motivare il bambino a riappropriarsi della sua capacità di scrivere.

L’intervento rieducativo alla scrittura è personalizzato: avviene dopo il colloquio con i genitori e/o l’insegnante; un esame della motricità generale, della scrittura e del disegno. La rieducazione della scrittura mira non solo al superamento della disgrafia, ma anche ad aiutare i bambini  a ritrovare il piacere di scrivere, a rinforzare le capacità di apprendimento (favorendo la leggibilità e la velocità di scrittura), e a prevenire eventuali problemi scolastici legati a turbe della scrittura. Attraverso tecniche specifiche la rieducazione favorisce lo sviluppo neurologico nella specializzazione degli emisferi e quindi anche lo sviluppo di altre capacità, ad esempio quella verbale, promuove l’ordine mentale e migliora l’attenzione, la precisione e l’autocontrollo emotivo in caso di stress.


dott.ssa Susanna Vetturelli --Studio Pedagogico Merano 

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Samantha, lo spazio e il boccone volante 

Ormai da giorni il nome, le parole e le immagini di Samantha Cristoforetti entrano nelle nostre case attraverso la televisione e i giornali, ci raccontano la sua vita, i suoi studi, i suoi sogni, la sua missione spaziale, suscitando in noi donne italiane orgoglio e fierezza. 


Così, l’altra sera  mentre io preparavo la cena e Samantha era in collegamento dallo spazio mi sono chiesta cosa mi stessero raccontando le sue immagini, le sue parole, la sua storia?  


Assaggio il sugo e faccio qualche ipotesi, forse la sua  storia e le sue parole dalla terra o dallo spazio ci ricordano che esiste ancora un mondo in cui è possibile farcela e realizzare i propri sogni, anche quelli che nascono nel cuore di una bimba che guarda le stelle e si realizzano con tanto impegno, (ma questo generalmente si tralascia!) anni dopo in un mondo professionale comunemente riservato ai maschi. Mmh… sa di luogo comune.

Forse ci invitano a riconoscere intorno a noi un mondo ormai povero di eroi, che crea personaggi per fare marketing o per catturare quella parte di pubblico desideroso di identificarsi nelle vite altrui. Mah potrebbe essere, ma mi sembra banale….

Forse anche e più semplicemente per nutrire il cercatore interiore che è in noi ed e assecondare il nostro desiderio di esplorare altri mondi, una volta lo facevamo coi romanzi di J. Verne, oggi la realtà supera la fantasia…mah troppo scontato. 


Io e mia figlia Virginia (6 anni) cominciamo a cenare, lasciamo la tv accesa per vedere Samantha e le immagini dalla Stazione spaziale internazionale,( ora su http://www.wired.it/scienza/spazio/2014/11/23/samantha-cristoforetti-partita-stazione/) ed ecco che proprio un dettaglio di quelle immagini con la complicità di mia figlia mi raccontano per la prima volta un’altra storia.


Accanto a Samantha, Terry Virts (non a caso si trattava di un maschio, penso!!), mentre il suo collega parlava, si divertiva a fare facce buffe, mentre col cucchiaio in mano ci mostrava come il cibo, in assenza di gravità, si sollevasse verso l’alto.

Vedendo la scena, mia figlia ride e mi dice “ Guarda mamma da loro il cibo va all’insù, da noi invece se non tieni dritto il cucchiaio il cibo casca giù ”. 


Ed è eccola qui la storia! 

Tra noi e queste immagini (ma spesso ciò ci sfugge perché esse, entrando in casa nostra e cenando insieme a noi ci sono talmente vicine da darci l’impressione di avere ospiti a cena) , esiste uno spazio invisibile che è quello dell’ “essere tra” , di più dell’essere tra  ”noi” e “ loro”. 


Quello che ci viene raccontato in questi giorni succede in un altrove lontano, in un universo “fuori dal mondo”, (reale sì, ma per noi talmente inimmaginabile da confondersi con la fantasia) in cui “il cibo si stacca dal cucchiaio e va in sù non quello in cui se il cucchiaino non lo tieni dritto il cibo cade in giù…” 

La nostra confusione rischia di stare proprio qui:  nel dimenticare, nel non considerare quello spazio che fa sì che quelle immagini non ci raccontino proprio un bel niente di noi ma solo qualcosa di Samantha dei suoi colleghi e del loro lavoro. 


Allora, grazie Samantha perché le tue parole e le tue immagini mi hanno condotta attraverso un viaggio spaziale di cui probabilmente non comprendo fino in-fondo la scientificità, che con-fondo con la fantascienza, e grazie perché condividi con tutte noi, raccontandocelo, il tuo sogno! 


Grazie invece al boccone volante e a mia figlia per avermi fatto tornare coi piedi per terra e per avermi riportata con forza ai miei sogni e al mio mondo.

Per avermi riportata alle missioni terrestri di cui nessuno parla e di cui tutte noi, ogni giorno siamo le vere “eroi” (non esiste la parola al femminile, bisognerebbe usare  “eroina” ma temo l’effetto! ) come mamme e come donne; a quelle meravigliose missioni che ci fanno attraversare gli universi inesplorati dei parchi, della scuola, delle feste di compleanno, e del pattinaggio artistico, la cui bellezza non ci toglie il fiato ma ci lascia ogni sera senza fiato….

A quelle difficili missioni che fanno di tutte noi le astronaute delle nostre vite e che ci sorprendono mostrandoci la più meravigliosa delle albe negli occhi delle persone che amiamo.

A tutte quelle piccole grandi missioni insomma,  che ci mostrano ogni giorno, come tu stessa dici della tua Samantha, che la realtà che stiamo vivendo è molto molto meglio di come ce l’eravamo immaginata…

…se solo non lasciamo che i sogni degli altri si sostituiscano ai nostri.


Susanna Vetturelli  


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La mediazione etnoclinica 

Il Lavoro Etnoclinico


In tutta Europa, a scuola, per le strade e nei negozi, ma anche nei servizi sociali e sanitari incontriamo bambini, famiglie e gruppi di uomini e donne provenienti da ogni continente. Questi nuovi conterranei parlano lingue differenti, hanno gesti, atteggiamenti, modi di fare ma anche pensieri, concezioni e logiche culturali a volte radicalmente “altre” rispetto a quelle a cui noi siamo abituati. 


Lavorare oggi nelle professioni educative, cliniche e di cura ci porta sempre più all’interno di situazioni caratterizzate dall’interazione culturale dove in gioco, tra operatori e utenti , ci sono visioni del mondo e parole delle lingue che veicolano concezioni della salute e della malattia, della nascita e della morte, della famiglia e delle modalità di gestione dei conflitti  profondamente diverse. Di fronte a queste situazioni nasce e si sviluppa il lavoro dell’etnopsichiatria e della mediazione culturale ed etnoclinica che si è dedicato alla  ricerca delle somiglianze e soprattutto sulla ricchezza delle differenze. 


Il lavoro con le realtà territoriali ha messo in luce la duplice necessità di tecniche specifiche nei differenti contesti in cui la mediazione si attua e di una teoria su cui fondare lo spazio di mediazione stesso. Il lavoro etnoclinico è andato costruendosi e trasformandosi proprio in risposta a queste esigenze, individuando un nuovo modo di interagire fra gruppi e utilizzando insieme e contemporaneamente saperi moderni e saperi tradizionali.


Il Dispositivo di Mediazione Etnoclinica 


A tal fine è stato costruito e sperimentato un dispositivo operativo tale da permettere il manifestarsi della dimensione etnica di modelli educativi ed iniziatici, di concezioni della malattia e dell’origine del male, di cura e di guarigione, di giustizia e di regolazione dei conflitti, di democrazia e di gestione del potere. Tali concezioni possono non coincidere con i modelli etnici occidentali, poiché si legano a trasgressioni, azioni, turbamenti, in un universo popolato da esseri visibili e invisibili, e contemporaneamente a legami, a rapporti comunitari e a responsabilità generazionali per noi desuete e rare o totalmente assenti dalle nostre forme di vita, basate principalmente su deleghe istituzionali.



Facendo di queste differenze un punto operativo di forza il dispositivo permette di  :


- identificare i disordini sopravvenuti nella famiglia e di proporre una strategia di intervento adatta alla presa in carico

-  stabilire una passerella tra le logiche istituzionali e le logiche familiari e culturali 


Il dispositivo di mediazione etnoclinica  si attua in seguito alla domanda di professionisti e delle equipes di operatori delle istituzioni che hanno in carico l’utente.  


Le Consultazioni Etnocliniche 


La consultazione etnoclinica dura circa tre ore. 


Essa si fonda sulla collaborazione di tutti gli operatori che lavorano attorno all’utente o alla famiglia.


A seconda della domanda e del caso per cui si interviene le consultazioni propongono due livelli :


- Incontri a carattere preventivo che riuniscono tutti gli operatori che hanno in carico l’utente o la famiglia. Questi incontri hanno l’obiettivo di attivare una riflessione comune sulle difficoltà incontrate con l’utente di sensibilizzare l’equipe al lavoro etnoclinico con utenti appartenenti a culture altre.e di trovare una strategia comune nella presa in carico. 

- Consultazioni con gli operatori che hanno in carico l’utente o la famiglia in presenza di questi ultimi. Questo incontro si effettua in seguito al primo. L’obiettivo è di attirare l’attenzione dell’utente e della famiglia sulla situazione problematica e sulle sue cause, che possono essere differenti a seconda della logica culturale da cui le si osserva. L’obiettivo è di dipanare la situazione facendo emergere la dimensione etnica dei diversi modelli culturali in compresenza. 


Entrambi gli incontri sono organizzati in maniera da permettere, sia l’analisi, la valutazione e la discussione intorno alle situazioni sottoposte, sia, ove possibile, la creazione di gruppi di lavoro capaci di proporre e sviluppare la presa in carico di persone e famiglie migranti. Ogni ambito di lavoro richiede, infatti, una forma di mediazione specifica che tenga conto di normative, procedure di decisione, consuetudini, tecniche, linguaggi e teorie che si differenziano da istituzione a istituzione e insieme alle differenze istituzionali esistenti tra paesi e nazioni differenti.


Il/la  Mediatore/trice linguistico-culturale ed etnoclinico/a 


La presenza attiva del mediatore linguistico-culturale ed etnoclinico , figura ponte tra le lingue e le culture, rende il gruppo operativo un gruppo multiculturale che espande la capacità di comparazione e scambio fra i modelli esplicativi degli operatori e degli utenti, contribuendo ad esplorare più in profondità le logiche cui fanno riferimento le strategie d’intervento delle diverse culture.


Il mediatore appartiene al gruppo culturale e parla perfettamente la lingua dell’utente e della sua famiglia. 




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